Poetessa Sulpicia - Roma antica

Sulpicia, l’unica voce femminile della Roma Antica

Anche gli uomini possono essere inaffidabili. Parola di Sulpicia, poetessa latina (40 a.C.) nipote di quel famoso patrono Messalla, che sotto Augusto gestiva il circolo letterario frequentato dai poeti a Ovidio, Tibullo e Properzio

La poetessa senza edizione critica

Non è un caso, quindi, che Sulpicia sia cresciuta come ragazza aristocratica a pane ed elegie e che quindi le sue sei elegie siano state raccolte nel terzo libro del Corpus Tibullianum, ovvero la silloge che racchiude due libri di Tibullo e un terzo libro composto dalle poesie dei contemporanei, probabilmente sempre appartenenti al circolo di Messalla visto che all’interno c’è un elogio a lui dedicato. Eva Cantarella, per questo inserimento, parla di “discriminazione di genere”: di fatto non esiste un’edizione critica dedicata a Sulpicia attualmente (ma se ne esce una lasciate un commento!). Tuttavia, il fatto che sia stata scelta proprio la produzione di Sulpicia per il Corpus ci fa pensare che fosse considerata un’artista a tutti gli effetti: questo la rende la prima voce letteraria femminile di Roma.

Nel Corpus sono presenti anche dei carmi definiti “Il ciclo di Sulpicia e Cerinto”, come se si trattasse di un ciclo mitologico. Alcune di queste poesie sono in prima persona, e certa critica (Parker 1994) ha sostenuto che potessero essere state scritte proprio da Sulpicia.

Lo scetticismo sul suo valore letterario

Con i critici più moderni Sulpicia ha avuto ancora meno successo: dobbiamo aspettare almeno il Settecento e l’Ottocento, quindi il passaggio del filologo C.G. Heyne, per vederle riconosciuta quanto meno una presenza umana, perché prima era considerata un personaggio fittizio oppure addirittura una figura maschile che si esercitava a scrivere al femminile (un po’ come Erinna).

Quindi in realtà, come spesso accade per quasi tutte le artiste dell’antichità, c’è uno scetticismo di base da parte dei critici nel riconoscere il fatto che si tratti effettivamente di un genio femminile. 

Neanche le femministe degli anni Settanta del secolo scorso sono state molto tenere con Sulpicia, perché in realtà la stessa Sarah B. Pomeroy, che fu una delle pioniere per quanto riguarda la questione di genere nei classici, disse: 

“Leggiamo Sulpicia perché è una donna”

Il messaggio implicito in questa frase è molto diretto: abbiamo poco materiale sulle donne e quindi accontentiamoci di quello che ci è rimasto. Leggiamo Sulpicia solo per quello, non per un valore letterario. 

Lo stravolgimento dei ruoli

Dobbiamo aspettare Santilocchi, sempre negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, per vedere riconosciuta in Sulpicia una vera e propria artista. Lo studioso si sofferma molto sul fatto che, palesando il suo amore per Cerinto (pseudonimo greco del suo amato, sulla falsariga di quello che facevano i suoi colleghi uomini – basti pensare a Catullo con Lesbia), la poetessa stravolge i ruoli della donna nella società romana, perché si appropria del ruolo di autrice e di donna che soffre perché viene tradita. Quindi si lamenta dell’infedeltà del proprio amato proprio come facevano i colleghi uomini, gli elegiaci, quando lamentavano che le donne non erano affidabili. 

Stravolgendo questo punto di vista, Sulpicia porta in campo un argomento abbastanza caldo nell’antichità e che ricorda la scena della Medea di Euripide, durante cui il coro afferma che se Giasone ha rotto i giuramenti anche gli uomini possono essere inaffidabili. Sembra una frase semplice, ma in realtà, nello stereotipo antico, le donne erano le creature inaffidabili per eccellenza: già Semonide con il suo giambo contro le donne lo aveva affermato nel VI/VII secolo a.C..

Sulpicia ricalca questa tradizione, scardinando il ruolo canonico tra uomini e donne.

Le acque dei sacri fiumi risalgono alle sorgenti, stravolta è la giustizia sconvolto ogni valore, gli uomini meditano inganni, vacilla la fede negli dei, ma la fama muterà la mia vita, io avrò gloria e tutto il sesso femminile sarà onorato, nessuna voce infamante colpirà più le donne, le muse dei poeti finiranno di cantare la nostra infedeltà. A noi non ha concesso Apollo, signore delle melodie, il suono divino della lira, avremmo fatto risuonare un inno contro la razza dei maschi sulla sorte delle donne e degli uomini il tempo nel suo lungo cammino molte cose potrebbe raccontare.

Medea, Euripide

I temi delle elegie

Le 6 elegie di Sulpicia aprono una piccola finestra sul mondo delle donne nella Roma dell’epoca, perché raccontano tematiche molto quotidiane, quali un picnic o un compleanno, ma con un approccio tutt’altro che docile: rispetto a un viaggio non gradito la poetessa dice al tutore “tu non mi consenti di scegliere come vorrei” (15). Nelle sue poesie ritroviamo il pudore che è sempre stato tipico della donna, quindi di fatto la poetessa è scissa perché, se da un lato brucia di passione per questo amante e vorrebbe dirlo, dall’altro è combattuta perché cela il suo amore. Non sappiamo bene il perché di questa scelta, se per orgoglio, visto che lui era infedele, o per rispetto del “canonico” pudore. Secondo Eva Cantarella l’amore viene celato perché Sulpicia si è innamorata di un uomo che suo zio non approvava, ma soprattutto con cui sembra aver fatto l’amore anche se non era suo marito: “Abbi pure a cuore la toga di una sgualdrina con la cesta in testa, più di Sulpicia, la figlia di Servio.” (III, 16)

La prima elegia

Venuto è infine amore e vergogna maggiore mi sarebbe averlo tenuto nascosto, di quanto sia infamante averlo rivelato a tutti. 
Commossa dai miei versi, Citerea lo ha portato a me deponendolo sul mio seno.
Ha sciolto le promesse Venere: racconti le mie gioie, chi gode fama di non averle mai avute.
Io non vorrei affidare parola a tavolette sigillate per il timore che qualcuno le legga prima del mio amore,
ma questo peccato m’è dolce, mi infastidisce atteggiarmi a virtù, tutt’al più si dirà che eravamo degni l’uno dell’altra.

III, Elegia 13 (la prima)

L’ultima elegia

Luce mia possa io non essere più la tua bruciante passione, come penso di esser stata nei giorni da poco passati.
Se in tutta la mia giovinezza mai ho commesso un errore così sciocco del quale, lo confesso, mi sia maggiormente pentita, che di averti lasciato solo l’altra notte per volerti celare il mio ardore.

III, Elegia 18 (l’ultima)

Curiosità

  1. Per curiosità – visto che ho trovato con difficoltà menzioni a Sulpicia, ho ripreso il vecchio testo di Paolo Fedeli che studiavo al Liceo, che cito:

A Sulpicia vengono attribuiti i sei biglietti d’amore (13-18) per Cerinto: si tratta, a dir poco, di un’attribuzione sospetta, perché il suo sarebbe l’unico caso di una donna romana autrice di versi, in un generale panorama d’incultura femminile.

Il testo, datato in stampa 2004, è stato preceduto da molti dibattiti filologici che riscattavano la figura di Sulpicia come donna e poi anche come poetessa. Nonostante ciò, per tutti gli altri carmi del terzo libro si parla di elegie, mentre per quelli attribuiti alla poetessa si parla di “biglietti d’amore” e lo stesso accade nella Letteratura Latina di Carocci.

2. Marziale, Valerio Massimo e Boccaccio parlano di altre due Sulpicie del mondo romano, entrambe ricordate come caste e fedeli. L’approfondimento su questo punto è nel video di Laterza con Eva Cantarella.

Bibliografia consigliata

Non solo Saffo (fonte dei testi)

Bellaria LXVII

Didattica Uniroma 2

Sulpicia by Parker su Academia.edu

Sulpicia, nell'Enciclopedia delle donne online
Alessia Pizzi

Laurea in Filologia Classica con specializzazione in studi di genere a Oxford, Giornalista, fondatrice di CulturaMente e di Poetesse Donne. Nel 2020 ho pubblicato il libro "Qualcuno si ricorderà di noi", dedicato alle poetesse dell'antichità, nel 2023 ho pubblicato "Poesie sul Tavolo".

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