Colta e sapiente epigrammista probabilmente originaria di Roma, ma itinerante tra Atene e Alessandria d’Egitto, Giulia Balbilla viene ricordata per l’epigrafe sul colosso di Memnone, statua che visita come turista al seguito dell’imperatore Adriano e di sua moglie Sabina nel novembre del 130 d.C.
La poetessa attualmente non viene studiata a scuola e non viene ritenuta particolarmente talentuosa da certa critica: per De Martino, ad esempio, è “modesta versificatrice”. Addirittura nel libro di Marguerite Yourcenar, “Le memorie di Adriano”, viene ricordata come la “sciocca che credeva di udire la voce di Memnone”.
Saffo a corte
Gli epigrammi di Giulia Balbilla sono il gioco erudito della cultura di II secolo d.C. che si esprime in lingua greca, anzi, in questo caso nel dialetto eolico affiancato da omerismi. Si tratta a tutti gli effetti di componimenti cortigiani: la poetessa racconta la visita omaggiando il lustro dei suoi celebri accompagnatori. Giulia non ha paura di scendere nel dettaglio: in un epigramma scrive la data della sua visita, mentre in altri lascia come sphragis (sigillo poetico) le sue origini.
La “poetessa di corte” si ispira apertamente a Saffo e sceglie di scrivere in dialetto lesbio i quattro epigrammi elegiaci in onore della visita turistica presso il colosso, che all’epoca era una delle mete più gettonate di pellegrinaggio. Alcune fonti, tra cui Tacito, ricordano la statua come “parlante”: questo ha suscitato non poche ipotesi, visto che la statua smise di parlare dopo il restauro. Magari c’era qualche crepa che generava il suono acuto e metallico raccontato dai poeti?
Gli epigrammi
Traduzioni di Amalia Margherita Cirio
Epigr. 1
Di Giulia Balbilla
quando la voce di Memnone
l’augusto Adriano udì.
Avevo sentito dire che Memnone l’Egizio, dal raggio del sole
scaldato faceva udire una voce dalla pietra tebana.
Appena vide Adriano sommo sovrano prima del comparire
dei raggi del sole, gli disse ‘salve’ come poteva.
Ma quando il Titano, lanciandosi coi suoi bianchi cavalli
attraverso l’aere, teneva nell’ombra l’ora seconda,
come un bronzo colpito Memnone di nuovo gridò con voce
acuta; salutando ancora per la terza volta emise un suono.
Allora l’imperatore Adriano salutò a lungo anche lui
Memnone e sulla stele lasciò per i posteri dei versi,
che mostrassero quante cose egli aveva visto e ascoltato.
Fu chiaro a tutti quanto gli dei lo amino.
Epigr. 2
Quando insieme con la venerabile Sabina
fui al cospetto di Memnone.
Oh Memnone, figlio di Aurora e di Titone antico,
tu che siedi di fronte a Tebe, città di Zeus,
o Amenoth, re egizio, come raccontano
i sacerdoti esperti di antichi racconti,
salve, e benevolo accogli, parlando, anche lei
la veneranda consorte dell’Augusto Adriano.
La lingua certamente tagliò e le orecchie un uomo barbaro,
Cambise l’empio: in tal modo di una morte che reca sventure
pagò certamente il fio, colpito dalla stessa punta di spada
con la quale aveva ucciso senza pietà il divino Api.
Ma io non penso che questa tua statua possa perire,
e la (tua) anima immortale dunque percepisco dentro.
Infatti i miei antenati e chi mi generò furono pii,
Balbillo il saggio e il re Antioco,
Balbillo, padre di mia madre di stirpe regale,
e il padre di mio padre Antioco il re:
dalla stirpe di questi anche io ho tratto il nobile sangue,
e miei, di Balbilla la pia, sono questi versi.
Epigr. 3
Quando , nel primo giorno, non sentimmo Memnone.
Ieri Memnone accolse in silenzio lo sposo,
perché di nuovo tornasse la bella Sabina qui
Infatti il bell’aspetto della nostra regina ti dà gioia;
ma a lei giunta lancia una divina armonia,
affinché il sovrano non si irriti contro di te;in ciò dunque a lungo
trattenesti , nella tua audacia, la veneranda e legittima sposa.
Così Memnone, temendo la potenza del grande Adriano
subito parlò, e quella udendolo ne gioì.
Epigr. 4
Io, Balbilla ho sentito, dalla pietra parlante,
la voce divina di Memnone o Phamenoth.
Ero giunta qui con l’amabile regina Sabina
il sole teneva il corso della prima ora.
Nel quindicesimo anno ( del regno) dell’imperatore Adriano
Atur era nel ventiquattresimo giorno.
Nel venticinquesimo giorno del mese di Atur.
Le dediche per Memnone
I quattro epigrammi fanno parte di un complesso di 107 iscrizioni greche e latine, sparse principalmente tra le gambe e i piedi del colosso, che attualmente è ancora ammirato tra la Tebe egiziana e Deir-el-Behari. Giulia Balbilla, quindi, non è l’unica poetessa che ha fatto incidere le sue poesie sulla statua, e soprattutto non è l’unica che riecheggia Saffo. Come stupirsi di questo: la poetessa di Lesbo è stata un modello di scrittura per uomini e donne. Tra queste poetesse vi è Damo, che addirittura si definisce “amante dei canti” (proprio come fa Saffo) in uno dei frammenti pervenuti sino a noi, e si firma nel suo epigramma.
Damo
O figlio dell’Aurora, salve. Benevolo mi parlasti,
Memnone, grazie alle Pieridi, alle quali sto a cuore
io Damo, amante dei canti. Cercando di compiacerti, la mia
barbito canterà sempre, venerando, la tua potenza.
Traduzione tratta da De Martino
Bibliografia consigliata
La professoressa Amalia Margherita Cirio ha pubblicato un libro "Gli epigrammi di Giulia Balbilla" in cui ne riscatta la figura. Un piccolo sunto è su Academia.edu. Ringrazio la professoressa, che ho conosciuto tanti anni fa alla Sapienza, per aver riacceso il mio amore per il greco, tanto da farmi passare da lettere moderne a lettere classiche. F. De Martino, Poetesse Greche, 2006