Se nel teatro classico vedere un morto in scena era taboo, in età Ellenistica gli epitaffi diventano addirittura un genere letterario nella forma di epigramma funerario. Erinna, antesignana del gusto ellenistico, fa ancora sfoggio dell’esametro per compiangere la sua amica morta prematuramente, mentre Anite è un’epigrammista che dedica epitaffi a tutti, animali e persone. In tempi più vicini ai nostri la morte ha assunto connotazioni decisamente più moderne come tema letterario, dando largo spazio all’introspezione.
Le poesie che andremo a leggere offrono una prospettiva femminile unica che affronta la morte con empatia, compassione e profondità emotiva. Le autrici discusse in questo articolo, dalle antiche greche alle più moderne come Anne Sexton e Sylvia Plath, toccano corde profonde nell’animo umano attraverso le loro parole, offrendo consolazione e comprensione per coloro che affrontano la perdita.
Queste poesie rappresentano una parte preziosa della tradizione poetica e possono ispirare e confortare le persone in momenti di lutto e riflessione.
Erinna, lamento per Bauci
Di Erinna ci restano anche degli epigrammi di cui però non è certa la maternità: per questo motivo solitamente mi rifaccio solo al lamento per Bauci (detto anche La conocchia) di attribuzione certa.
Lamento a Bauci
I bianchi cavalli smaniosi
“Lamento a Bauci”, Lirici Greci, traduzione di Quasimodo
si levavano dritti sulle zampe
con grande strepito; il suono della cetra
batteva in eco sotto il portico vasto della corte.
O Bàuci infelice, io gemendo piango al ricordo.
Queste cose della fanciullezza hanno ancora calore
nel mio cuore, e quelle che non furono di gioia,
sono cenere, ormai. Le bambole stanno riverse
sui letti nuziali; e presso il mattino
la madre cantando più non reca
il filo sulla rocca e i dolci cosparsi di sale.
A te fece paura da bambina la Mormò
che ha grandi orecchie e su quattro
piedi s’aggira movendo intorno lo sguardo.
E quando, o Bàuci amata, salisti sul letto dell’uomo
senza memoria di quello che giovinetta ancora
avevi udito da tua madre, Afrodite
non fu pietosa della tua dimenticanza.
Per questo io ora piangendoti non ti abbandono,
né i miei piedi lasciano la casa che m’accoglie,
né voglio più vedere la dolce luce del giorno,
né lamentare con le chiome sciolte; ho pudore
del cupo colore che mi sfigura il volto
Anite di Tegea, Epitaffi
Anite di Tegea scrive falsi epitaffi sotto forma di epigrammi: qui sono riportati quello per la cavalletta e quello di una ragazza morta prematuramente, tema di stampo ellenistico anticipato anche da Erinna. Ma la poetessa ha scritto epitaffi anche per cagnolini e cavalli guerrieri.
Epitaffio della cavalletta
Per quella cavalletta, usignolo dei campi,
A.P. VII, 190, traduzione di Ugo Pontiggia
e per quella cicala che vive nelle querce,
Mirò fece una tomba comune, versando lacrime
di bimba. I suoi due compagni di gioco
li prese e portò via Ade, difficile da persuadere.
Epitaffio della fanciulla Erato
Queste ultime parole disse Erato a suo padre
A.P. VII, 646, traduzione di Ugo Pontiggia
abbracciandolo e insieme piangendo lacrime
di bambina: “Padre, non sono più, sto morendo,
l’oscura nera morte spegne i miei occhi.”
Sylvia Plath, epitaffi
Sylvia Plath è conosciuta per le sue opere intense e spesso oscure, che esplorano il dolore e la perdita.
Epitaph for sun and flowers
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Traduzione con DEEPL
Il picco verde di quest’onda su un filo
Per evitare la caduta, o ancorare l’aria fluente
Nel quarzo, come spaccare il cranio per tenere
Questi due amanti più deperibili dal contatto
che accenderà l’invidia degli angeli, brucerà e farà cadere
I loro cuori affettuosi carbonizzati come un fiammifero.
Non cercate di fissare con l’occhio di una telecamera di pietra
L’abbaglio passeggero di ogni volto
In bianco e nero, o mettere in ghiaccio
Il bagliore istantaneo della bocca per gli sguardi futuri;
Le stelle sparano i loro petali e i soli corrono a seminare,
Comunque si possa sudare per tenere questi cari relitti
come miele nella tua testa.
Ora, nel punto cruciale dei loro voti, pendi l’orecchio,
immobile come una conchiglia: ascolta che età di vetro
Questi amanti profetizzano di chiudersi in un abbraccio
Al sicuro nel diamante del museo per lo sguardo
di generazioni sbalordite; lottano
Per conquistare il regno della cenere nel giro di un’ora
e conservano la fede al sicuro in un fossile.
Ma anche se vorrebbero riannodare i tendini nella roccia
e far sì che ogni banderuola baci il fuoco
come se volessero infiammare una fenice, lo sprone del momento
spinge il sangue agile e troppo veloce
per un desiderio da legare: cavalcano per tutta la notte
Nella scia ardente dei loro battiti cardiaci fino a quando il gallo rosso
spoglia la fioritura della cometa.
L’alba spegne lo stoppino esaurito della stella,
anche se i cari sciocchi dell’amore gridano sempre di più,
E un languore di cera rapprende la vena
Non importa quanto ardentemente accesa; i contratti solidi si rompono
e si ritraggono nella luce che cambia: l’arto radioso
soffia cenere nell’occhio di ogni amante; lo sguardo ardente
annerisce la carne fino alle ossa e li divora.
Epitaph in three parts
Dondolando sul mare di lapislazzuli
Traduzione con DEEPL
arriva uno stormo di navi da battaglia in bottiglia
ognuna con un telegramma indirizzato a me.
Distruggi il tuo specchio ed evita le disavventure”, cinguetta il primo.
cinguetta il primo; “vivi su un’isola silenziosa
dove l’acqua cancella tutti i passi”.
Il secondo canta: “Non ricevere nessun galante vagabondo
che cerca di oziare nel porto fino all’alba,
perché il tuo destino prevede un oscuro assalitore”.
Il terzo grida mentre tutte le navi affondano:
“C’è più di un buon modo per annegare”.
(2)
Nell’aria sopra la mia isola vola
una folla di gabbiani lucenti che si tuffano per lanciare
un assalto preciso agli occhi
dell’audace marinaio che cade sotto l’inzuppo
e la fame del surf che spolpa la terra,
divorando i giardini verdi centimetro per centimetro.
Il sangue scorre in un glissando dalla mano
che si alza per consacrare l’uomo affondato.
In alto, un gabbiano solitario si ferma sul vento,
annunciando dopo che gli uccelli sazi sono volati:
“C’è più di un buon modo per annegare”.
(3)
I folletti cavalletta con le orecchie verdi a punta
si muovono su zampe di foglie sul mio davanzale,
e si fanno beffe della pioggia tintinnante di stelle scheggiate.
La mia stanza è una scatola grigia cinguettante con una parete
lì e lì e ancora lì, e poi
una finestra che dimostra che il cielo è una pura trafila
che si dà il caso nasconda il coperchio di un’unica
enorme scatola grigia dove Dio è andato
e ha nascosto tutti i luminosi uomini angelici.
Un’onda d’erba incide sulla pietra:
“C’è più di un buon modo per annegare”.
Gabriela Mistral
Gabriela Mistral parla di morte come assenza, in questi versi quella del figlio che non ha mai avuto.
Cancion de la muerte
Il vecchio censore,
Traduzione con DEEPL
la morte astuta,
quando sono in cammino,
il mio bambino non troverà.
Colui che annusa i nati
e annusa il loro latte,
trova sali e farine,
il mio latte non troverà.
La contro-madre del mondo
invita la gente,
sulle spiagge e sulle strade
non trova gli innocenti.
Il nome del suo battesimo
-il fiore con cui cresce,
la memoria lo dimentica,
e la morte lo perde.
Di vento, sale e sabbia,
diventa demente,
e di baratto, il delirio,
l’occidente e l’oriente.
Il bambino e la madre li confondono
come i pesci,
e nel giorno e nell’ora
mi trovano solo.
Anne Sexton
Anne Sexton è conosciuta per la sua poesia confessionale che esplora il dolore e la disperazione.
Wanting to die
Visto che me lo chiedi, la maggior parte dei giorni non me lo ricordo.
Traduzione con DeepL
Cammino con i miei vestiti, non segnati da quel viaggio.
Poi torna la brama quasi innominabile.
Anche allora non ho nulla contro la vita.
Conosco bene i fili d’erba di cui parli,
i mobili che hai messo sotto il sole.
Ma i suicidi hanno un linguaggio speciale.
Come i falegnami, vogliono sapere quali attrezzi.
Non chiedono mai perché costruire.
Due volte mi sono dichiarato così semplicemente,
ho posseduto il nemico, mangiato il nemico,
ho assunto il suo mestiere, la sua magia.
In questo modo, pesante e riflessivo,
più caldo dell’olio o dell’acqua,
ho riposato, sbavando dal buco della bocca.
Non ho pensato al mio corpo nel momento dell’ago.
Anche la cornea e i resti di urina erano spariti.
I suicidi hanno già tradito il corpo.
Nati morti, non sempre muoiono,
ma abbagliati, non riescono a dimenticare una droga così dolce
che anche i bambini guardavano e sorridevano.
Spingere tutta quella vita sotto la lingua!
questo, da solo, diventa una passione.
La morte è un osso triste; ammaccato, si direbbe,
eppure mi aspetta, anno dopo anno,
per sciogliere così delicatamente una vecchia ferita,
per svuotare il mio respiro dalla sua cattiva prigione.
In equilibrio lì, i suicidi a volte si incontrano,
che si infuriano per il frutto di una luna pompata,
lasciando il pane che hanno scambiato per un bacio,
lasciando la pagina del libro sbadatamente aperta,
qualcosa di non detto, il telefono staccato
e l’amore, qualunque cosa fosse, un’infezione.
Wislawa Szymborska
Wislawa Szymborska è conosciuta e ha vinto il Nobel anche per la sua ironia. Proprio lei ha dedicato “Alla morte, senza esagerare” una poesia.
Non c’è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.
Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
Tuttavia, nelle poesie pubblicate da Adelphi, “Canzone nera” conosciamo una Wislawa più cupa, come dimostra la seguente ballata, le cui corde sono molto differenti dai versi precedentemente citati.
Ballata
È la ballata su una ammazzata
che d’un tratto si è alzata.
Scritta in modo veritiero,
sulla carta per intero.
Tutto accadde a finestra spalancata,
e la lampada splendeva.
Chi voleva, vedeva.
Quando l’uscio si richiuse
e l’assassino corse giù,
lei si alzò come i vivi
risvegliati dal silenzio.
Si è alzata, muove il capo
e con occhi di diamante
guarda attenta da ogni parte.
Non si leva su nell’aria,
ma calpesta il pavimento,
un assito scricchiolante.
Le tracce dell’assassino
tutte brucia nel camino.
Foto e spago dal cassetto,
fino all’ultimo pezzetto.
Non è stata strangolata.
Né uno sparo l’ha ammazzata.
Ma una morte invisibile.
Può dar segni d’esser viva,
piangere per inezie,
spaventarsi e poi gridare
per un topo.
Tante sono
le fragilità e sciocchezze
che è facile contraffare.
Lei si è alzata, come ci si alza.
Lei cammina, come si cammina.
Canta anche e si pettina i capelli,
che crescono.
Ada Negri
Torna il tema della morte dei figli anche nella poesia di Ada Negri.
La morte
Se necessario è il male, e necessaria
Tratto da “Esilio”
la morte, — anche tu dunque, o luminosa,
morrai?… tu, che letizia da ogni cosa
suggi, come ogni bocca sugge l’aria?…
Io t’avrò fatta, io con insonne e fida
ansia t’avrò cresciuta, per saperti
mortale, e spenta, forse, in braccio averti?…
Dunque ogni madre al mondo è un’omicida?…
Dunque la vita mia, che a te coi cento
e cento suoi lacerti s’aggroviglia,
nulla potrebbe in tua difesa, o figlia
nata per la mia gioia e il mio tormento?…
Cingerti non potrebbe un’invisibile
veste, d’amore e amor tutta intessuta,
che contro gli anni e la ferocia muta
della morte ti renda incorruttibile?…
Nella miseria mia solo il patire
per te m’è dato, e in esso consumarmi:
perché tu possa, o figlia, perdonarmi
d’averti messa al mondo per morire.
Maya Angelou
In questa poesia, Maya Angelou, racconta con forte simbolismo la reazione di una persona di fronte alla perdita.
When Great Trees Fall
Quando i grandi alberi cadono,
Traduzione con DEEPL
le rocce sulle colline lontane tremano,
i leoni si rintanano
nelle erbe alte,
e persino gli elefanti
cercano di mettersi in salvo.
Quando i grandi alberi cadono
nelle foreste,
le piccole cose si ritirano in silenzio,
i loro sensi
erosi al di là della paura.
Quando le grandi anime muoiono,
l’aria intorno a noi diventa
leggera, rara, sterile.
Respiriamo, per poco tempo.
I nostri occhi, per poco,
vedono con
una chiarezza dolorosa.
La nostra memoria, improvvisamente acuita,
esamina,
rosicchia le parole gentili
non dette,
le passeggiate promesse
mai fatte.
Le grandi anime muoiono e
la nostra realtà, legata a
a loro, si congeda da noi.
Le nostre anime,
dipendenti dal loro
nutrimento,
ora si restringono, avvizzite.
Le nostre menti, formate
e informate dal loro
splendore,
cadono.
Non siamo tanto impazziti
ma ridotti all’impronunciabile ignoranza
di buie e fredde
caverne fredde.
E quando le grandi anime muoiono,
dopo un periodo fiorisce la pace,
lentamente e sempre
irregolare. Gli spazi si riempiono
con una sorta di
vibrazione elettrica rilassante.
I nostri sensi, ripristinati, mai più
non saranno mai più gli stessi, ci sussurrano.
Esistevano. Esistevano.
Possiamo essere. Essere ed essere
migliori. Perché loro sono esistiti.
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